Gino Bartali e la fabbricazione di carte di identità per gli ebrei nascosti a Firenze

Nota di aggiornamento, 5 settembre 2021. Sul tema vedi ora il saggio, notevolmente ampliato, Michele Sarfatti, “I procacciatori di carte d’identità false per gli ebrei a Firenze: Mario Finzi, Giorgio Nissim, don Leto Casini, Anna Maria Enriques Agnoletti e i loro compagni”, in “La rassegna mensile di Israel”, vol. 85, n. 3 (settembre-dicembre 2019), pp. 119-132 (NB Nonostante la data formale, l’articolo è aggiornato al 2020 e il fascicolo della rivista è stato pubblicato in agosto 2021).



Dopo l’8 settembre 1943 gli ebrei dell’Italia assoggettata all’occupazione tedesca e alla Repubblica sociale italiana (Rsi) si trovarono tutti sotto pericolo di arresto e deportazione (Sarfatti 2007, 251-308). La loro sopravvivenza dipese anche dalla possibilità di entrare in clandestinità, con un nome falso e un documento di identità falsificato.

Le carte di identità erano necessarie per circolare in città, a causa dei frequenti controlli attuati dalle polizie, o per alloggiare regolarmente in pensioni o presso affittacamere. Inoltre consentivano di ottenere la carta annonaria, che serviva ad acquistare i generi alimentari razionati. Agli ebrei italiani le carte di identità false erano necessarie per entrambi i motivi; tanto più a Firenze, unica città nella quale vennero arrestati ebrei che si erano presentati negli uffici dell’annona con le carte di identità “vere” (Salmon 2002, 203-227; Supino 2014, 119). Ai profughi stranieri – particolarmente numerosi a Firenze – le carte di identità erano necessarie soprattutto per il secondo motivo (data la loro scarsa o nulla conoscenza della lingua italiana, non era il caso che camminassero per strada e rischiassero un controllo).

In genere le carte di identità false erano intitolate a comuni dell’Italia meridionale già liberati dagli Alleati, in modo che non fosse possibile verificarle. Ciò però era foriero di pericoli: il clandestino poteva avere un documento di un comune pugliese o siciliano e parlare con un forte accento veneziano o fiorentino, inoltre poteva incontrare, magari proprio in occasione di controlli di polizia, persone che intavolavano con lui conversazioni su vicende, abitanti e strade di quei comuni.

La loro fabbricazione comprendeva più fasi, che potevano essere accorpate o svolte in luoghi separati: sottrazione da parte di impiegati antifascisti di moduli originali in bianco o loro stampa clandestina, scrittura dei dati anagrafici del clandestino, applicazione della fotografia, apposizione di timbri falsificati con nome e stemma del comune; vi era poi la fase della distribuzione.

Va tenuto presente che, nell’Italia dell’occupazione tedesca e del nuovo potere fascista, i primi a orientarsi verso documenti di identità falsi furono gli esponenti antifascisti che nei precedenti “quarantacinque giorni” si erano particolarmente esposti in pubblico (per il Partito d’Azione a Bologna: Supino 2014, 69-71; Barile 2000, 98)


Nel 1978 Alexander Ramati pubblicò un volume in inglese, tradotto in italiano nel 1981 col titolo Assisi clandestina. Assisi e l’occupazione nazista secondo il racconto di p. Rufino Niccacci. Il testo era costruito dall’autore come un racconto in prima persona di padre Rufino Niccacci (Ramati 1978a; Ramati 1978b; Ramati 1981). Secondo il racconto di Ramati-Niccacci, quest’ultimo il 23 novembre 1943 si recò dall’arcivescovo di Firenze Elia Dalla Costa per parlargli degli ebrei nascosti in Assisi; Dalla Costa gli disse che aveva veduto le carte di identità false ivi fabbricate e gli chiese di fabbricarne anche per gli ebrei nascosti a Firenze (Ramati 1981, 52-61). Sempre secondo il libro, Dalla Costa dette l’incarico di corriere clandestino tra Firenze e Assisi al ciclista Gino Bartali, Questi raggiungeva Assisi in bicicletta “portando fotografie, tornando indietro con carte d’identità un giorno o due dopo”; il materiale era occultato nella stessa bicicletta: “come al solito, sfilò i manicotti dal manubrio e svitò il sellino per prendere le fotografie e le carte nascoste dentro il telaio della bicicletta” (Ramati 1981, 68; in Ramati 1978a, 57 e in Ramati 1978b, 57 il cognome Bartali è storpiato in Battaglia). Ramati-Niccacci scrive inoltre che il vescovo di Assisi aveva avuto a Perugia “un incontro con un messo del Cardinal Dalla Costa, Giorgio La Pira” e poche pagine dopo precisa che i documenti falsi erano fabbricati “per le persone di cui Gino Bartali e Giorgio La Pira portavano le fotografie” (Ramati 1981, 113, 119; in Ramati 1978a, 101 e in Ramati 1978b, 101 il cognome è ancora Battaglia).

La narrazione di Ramati-Niccacci contiene molti errori e invenzioni. Ad esempio, il libro sostiene che proprio nel giorno dell’arrivo di Niccacci a Firenze, 23 novembre 1943, avvennero sia la pubblicazione sulla stampa dell’ordine della Rsi di arresto degli ebrei, sia una retata nazista di ebrei nei conventi fiorentini, durante la quale “Vidi un’intera famiglia messa al muro e fucilata, perché addosso a uno di loro era stata trovata una rivoltella” (Ramati 1981, 53). Invece l’ordine di Salò fu comunicato dalla radio il 30 novembre e pubblicato dalla stampa l’1 dicembre, e la retata fu effettuata il 26-27 novembre, senza che nel suo corso venisse attuata alcuna uccisione.

Anche l’attività di corriere tra Firenze e Assisi attribuita da Ramati-Niccacci al cattolico antifascista fiorentino Giorgio La Pira, non trova conferme nella realtà dei fatti. La Pira viveva nel convento domenicano di San Marco a Firenze. Il 29 settembre 1943 la casa religiosa fu perquisita e La Pira, sentendosi in pericolo, si trasferì da amici a Fonterutoli, vicino a Castellina in Chianti. Il 17 novembre in convento pervenne un mandato di cattura a suo carico; il padre domenicano Cipriano Ricotti gli portò la notizia, e La Pira si nascose nella vicina località di Tregole. L’8 dicembre infine si spostò a Roma, ove rimase fino alla liberazione della città (Ricotti 1990, 363, 376; Giovannoni 2008, 127-128, 135). Come appare evidente, il pur valente antifascista non era affatto nella condizione di svolgere quel ruolo (né, dopo la liberazione, ha mai affermato di averlo svolto).

Allo stesso modo, l’attività di corriere tra Firenze e Assisi attribuita da Ramati-Niccacci a Gino Bartali non è menzionata né nelle testimonianze degli organizzatori del soccorso fiorentino, né in suoi scritti privati o parole pubbliche; le pubblicazioni che la descrivono si basano in modo più o meno esplicito sul libro di Ramati-Niccacci, (Del Mela 2003; McConnon 2012; McConnon 2013). Inoltre essa è esplicitamente smentita da don Aldo Brunacci, canonico della cattedrale di Assisi, incaricato dal suo vescovo di organizzare il soccorso agli ebrei ivi rifugiatisi (Brunacci 1985, 7, 22). Egli era quindi il principale organizzatore dell’assistenza in Assisi; in quanto tale coordinava anche la fabbricazione dei documenti falsi di identità; inoltre era al corrente dell’esistenza di “legami” con le curie di Firenze e Genova (Brunacci 1985, 12-13, 22, 23). Uno dei suoi valenti collaboratori fu proprio padre Rufino Niccacci, che entrò a far parte del gruppo in un secondo tempo, apportando “un notevole aiuto per la sua coraggiosa intraprendenza”, ovvero: “per le sue vaste conoscenze e per la sua coraggiosa intraprendenza portò un grande contributo a tutta l’organizzazione” (Brunacci 1985, 12, 24). Ciò detto, Brunacci ha così commentato l’intero libro Assisi clandestina: “Si tratta di un vero romanzo. L’autore aveva certamente in mente un copione per un film e non poteva trovare personaggio più adatto per il suo intento e soprattutto una fantasia più fervida di quella di Padre Rufino”. E poi, dopo aver scritto che egli stesso si era recato varie volte in bicicletta a Perugia per qualche “missione delicata”, ha aggiunto: “Forse questo particolare che Ramati conosceva attraverso i miei articoli gli ha suggerito di introdurre tra i personaggi del romanzo anche Bartali!” (Brunacci 1985, 12, 15). Insomma, Ramati-Niccacci ha inventato quel ruolo di corriere di Bartali.


Ma allora chi fabbricava o portava le carte di identità per gli ebrei fiorentini? Qui le testimonianze dei protagonisti abbondano, anche se non sono sufficienti a ricomporre il quadro dei fatti. Meglio quindi presentarle separatamente. Gli attori principali erano membri della chiesa cattolica fiorentina, ebrei toscani ed emiliani (in parte militanti del Partito d’Azione), partigiane cattoliche e azioniste di Firenze, forse un comunista bolognese e probabilmente altri ancora. Con loro collaborarono molti altri, compreso un funzionario della questura di Firenze.

Nell’ottobre 1943, don Leto Casini, parroco a Firenze, fu incaricato da Dalla Costa di lavorare in un comitato di soccorso agli ebrei stranieri, per il quale occorreva anche procurare “carte di identità – naturalmente false”. A ciò “provvedeva una tipografia clandestina di Bologna. Io mi facevo dare le fotografie formato tessera e le consegnavo ad un giovane Ebreo di Bologna il quale faceva la spola, quasi ogni giorno, tra me e la suddetta tipografia. […] Il fattorino, veramente eccezionale, a cui ho accennato era Mario Finzi” (Casini 1986, 49-51]. Mario Finzi fu arrestato a Bologna nell’aprile 1944, deportato ad Auschwitz e ucciso. Leto Casini fu arrestato a Firenze il 26 novembre 1943; in tasca aveva “venticinque foto consegnatemi due minuti prima e che avrei dovuto trasmettere per altre e tante [sic] carte d’identità, a Bologna, la sera stessa” (Casini 1986, 53); successivamente fu liberato.

L’ebreo pisano Giorgio Nissim era organizzatore del soccorso ai perseguitati nell’area di Lucca. Egli inizialmente si procurava le carte di identità false a Genova, recandovisi in treno. Nelle sue memorie ha scritto che una volta padre Ricotti gli aveva dato trenta fotografie di ebree nascoste “per fabbricare carte false”, e che egli rientrò da Genova a Firenze con i documenti contraffatti poche ore dopo la retata del 26-27 novembre 1943, in cui gran parte delle donne era stata arrestata (Picciotto 2005, 97-105, 115-116).

Successivamente Nissim si attrezzò per fabbricarle a Lucca. Essendogli difficile procurarsi tessere annonarie da falsificare, una volta organizzò uno scambio di documenti non compilati: “A Firenze ero in contatto con Maria Enriquez Agnoletti [Anna Maria Enriques Agnoletti], con la quale mi davo appuntamento in una chiesa ove avveniva l’amichevole scambio: carte d’identità in bianco con la fotografia che veniva applicata e punzonata con i timbri che mi portavo nelle tasche, contro carte annonarie. Ricordo che l’ultima volta che la vidi, essa mi fornì un imponente pacco di carte annonarie, mentre ambedue noi eravamo inginocchiati ad un altare della chiesa di Santa Maria del Fiore” (Picciotto 2005, 117). Anna Maria Enriques Agnoletti, figlia di matrimonio “misto” e nominalmente esentata dalla persecuzione antiebraica, aveva aderito al Movimento cristiano sociale (Mcs); a Firenze operò assieme al Partito d’azione; fu arrestata per antifascismo nel maggio 1944 e poi uccisa. Nel diario di don Giuseppe Spaggiari, cappellano della cattedrale di Livorno e in contatto con Giorgio Nissim, è annotata una visita di Anna Maria Enriques Agnoletti a Livorno il 20 novembre 1943; l’antifascista Emilio Angeli, padre di don Roberto Angeli, parroco in quella città e soccorritore di ebrei [poi arrestato e deportato a Mauthausen, riuscendo a sopravvivere] ha ricordato che lei e due impiegati comunali di Livorno aderenti al Mcs distribuirono carte di identità e tessere annonarie agli ebrei di quella città (Cavarocchi 2007, 373). Parlando di lei, l’azionista Maria Luigia Guaita ha scritto: “gli ebrei aiutati e salvati da lei erano moltissimi” (Guaita 1957, 47).

A Firenze anche Guaita fabbricava carte di identità false (non è noto se per ebrei o per partigiani, probabilmente per entrambi): “mi ricordo che una volta feci un gran numero di carte d’identità con il timbro del Comune di Caltanissetta ma con una ‘s’ sola, e che fatica rintracciarle e sostituirle corrette” (Guaita 1957, 66). Guaita procurava anche carte annonarie (Supino 2014, 108, 154, 160, 182).

Sempre relativamente all’operato della Resistenza, si può ricordare che il 24 ottobre 1943 il comunista bolognese Leonildo Tarozzi portò a Firenze un gruppo di carte di identità in bianco (Tarozzi 1975, 344; Supino 2014, 78); ma non è noto se furono utilizzate per gli ebrei clandestini.

Infine due storiche hanno scritto: “anche padre Ricotti e Giancarlo Zoli [giovane antifascista cattolico fiorentino] riuscirono a procurarsi i preziosi documenti con l’aiuto di membri della Resistenza” (Pandolfi 1980, 39) e: “padre Ricotti ricorda che una partigiana sua compagna di università gli consegnò un timbro a secco di un comune occupato dagli Alleati; fu quindi possibile avviare in proprio la produzione di carte di identità con la collaborazione del funzionario della questura [Vincenzo] Attanasio, definito dal padre un fedelissimo dell’organizzazione” (Cavarocchi 2007, 354).

Come si vede, queste testimonianze in parte sembrano incastrarsi l’una con l’altra, in parte illustrano duplicazioni che oggi ci appaiono non comprensibili, ma che all’epoca potrebbero avere avuto un senso. Esse abbozzano le dimensioni di un quadro che merita senz’altro uno studio ben più ampio e approfondito di quanto sia possibile fare in questa appendice. Il 9 febbraio 1980, Matilde Cassin, giovane ebrea fiorentina, fortemente impegnata nell’attività di soccorso, mi disse che don Casini e padre Ricotti erano autonomi e in certo qual modo in concorrenza (queste sono le parole che io ho scritto, ma non fu un’intervista registrata); ciò potrebbe spiegare la duplicazione delle fabbricazione delle carte di identità nel novembre 1943, ma – appunto – su tutta la vicenda occorre una ricerca accurata. Comunque il suo ricordo (l’intervista riguardava fatti avvenuti trentasei anni prima) era che molte delle carte da lei distribuite erano opera di Giorgio Nissim e del convento di San Marco, mentre Casini gliene procurava delle altre.

Matilde Cassin mi disse anche che nel maggio 1944 portò a Milano alcune carte di identità, forse tre, realizzate da padre Ricotti. In effetti lei andò a Milano dal 26 al 29 aprile e vi tornò il 16 maggio per poi sconfinare in Svizzera (Supino 2014, 150-151, 158). Ora che è purtroppo tardi per cercare conferme dirette, mi chiedo se una di quelle tre carte era per Giacomino Sarfatti. Mio padre Giacomino era andato in Inghilterra dopo l’introduzione in Italia delle leggi antiebraiche; lì, dopo il giugno 1940, si arruolò nelle forze speciali inglesi, che lo inviarono in Italia (prima del 25 luglio 1943) con la mansione di operatore radio. All’inizio di aprile 1944 si incontrò a Milano con la partigiana azionista Tina Lorenzoni, che aveva appena scortato l’espatrio clandestino da Firenze in Svizzera di Gualtiero Sarfatti, Eloisa Levi e un altro loro figlio (Gianfranco, poi rientrato in Valle d’Aosta per partecipare alla Resistenza e ucciso in combattimento). Tornato a Londra, Giacomino Sarfatti riferì anche questo incontro ai suoi superiori e aggiunse: “and later she [Tina Lorenzoni] managed to get him [il testo è in terza persona] an identity card and some ration cards” (NA-GB, 2 novembre 1944). Mi pare probabile (anche se ormai non più verificabile) che quel “managed to get him” vada riferito a Matilde Cassin. Maria Assunta Lorenzoni detta Tina fu uccisa in agosto 1944 durante la battaglia per la liberazione di Firenze; come è stato scritto, lei “procurava [agli ebrei] documenti falsi e ricoveri, valendosi della organizzazione clandestina del C.T.L.N. [Comitato toscano di liberazione nazionale]” (Francovich 1961, 289).

La storia della fabbricazione e distribuzione delle false carte di identità per gli ebrei clandestini a Firenze è lastricata di grandiosa umanità e terribili lutti. La prima non necessita miti; i secondi richiedono rispetto.


Riferimenti bibliografici e archivistici

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Casini 1986 – Leto Casini, Ricordi di un vecchio prete, Giuntina, Firenze 1986.

Cavarocchi 2007 – Francesca Cavarocchi, L’organizzazione degli aiuti. Le reti ecclesiastiche e la DELASEM, in Enzo Collotti (a cura di), Ebrei in Toscana tra occupazione tedesca e RSI. Persecuzione, depredazione, deportazione (1943-1945), vol. I Saggi, Carocci, Roma 2007, pp. 329-391.

Del Mela 2003 – Lapo del Mela, Così il cardinale Dalla Costa aiutò gli ebrei di Assisi. Bartali e La Pira ambasciatori d’eccezione. Come avveniva la falsificazione dei documenti. Il ruolo di Pio XII, “San Sebastiano. Periodico della Misericordia di Firenze”, n. 217, ottobre-dicembre 2003, pp. 5-8.

Francovich 1961 – Carlo Francovich, La Resistenza a Firenze, La nuova Italia, Firenze 1961.

Giovannoni 2008 – Pietro Domenico Giovannoni, La Pira e la civiltà cristiana tra fascismo e democrazia (1922-1944), Morcelliana, Brescia 2008.

Guaita 1957 – Maria Luigia Guaita, La guerra finisce la guerra continua, Nuova Italia, Firenze 1957.

McConnon 2012 – Aili, Andres McConnon, Road to Valor. A True Story of World War II Italy, the Nazis, and the Cyclist Who Inspired a Nation, Crown, New York 2012.

McConnon 2013 – Aili, Andres McConnon, La strada del coraggio. Gino Bartali eroe silenzioso, 66thand2nd, Roma 2013.

NA-GB, 2 novembre 1944 – The National Archives, Londra, SOE personnel files, HS 9/1313, Giacomino Giovanni Sarfatti aka [also known as] Galea aka Rossi, #5129-5150, “Attachment ‘A’. Interrogation of Galea @ Rossi (Real name Giacomino Sarfatti), 2th November, 1944, p. 12.

Pandolfi 1980 – Paola Pandolfi, Ebrei a Firenze nel 1943. Persecuzione e deportazione, Sea Dupliart, Firenze 1980.

Picciotto 2005 – Liliana Picciotto, Giorgio Nissim. Memorie di un ebreo toscano (1938-1948), Carocci, Roma 2005.

Ramati 1978a – Alexander Ramati, The Assisi underground. The Priests who rescued Jews. As told by Padre Rufino Niccacci, Stein and Day, New York 1978.

Ramati 1978b – Alexander Ramati as told by Padre Rufino Niccacci, While the Pope Kept Silent. Assisi and the Nazi Occupation, Allen and Unwin, London 1978.

Ramati 1981 – Alexander Ramati, Assisi clandestina. Assisi e l’occupazione nazista secondo il racconto di p. Rufino Niccacci, Porziuncola, Santa Maria degli Angeli (Assisi) 1981.

Ricotti 1990 – Cipriano Ricotti, La Chiesa che io ho amato, Domenicani di San Marco, Firenze 1990.

Salmon 2002 – Elio Salmon, Diario di un ebreo fiorentino 1943-1944, Giuntina, Firenze 2002.

Sarfatti 2007 – Michele Sarfatti, Gli ebrei nell’Italia fascista. Vicende, identità, persecuzione, 2° ed., Einaudi, Torino 2007.

Supino 2014 – Giulio Supino, Diario della guerra che non ho combattuto. Un italiano ebreo tra persecuzione e Resistenza, a cura Michele Sarfatti, Aska, Firenze 2014.

Tarozzi 1975 – Leonildo Tarozzi, Come nacque a Bologna il comitato pace e libertà, in Pietro Alberghi, Partiti politici e CLN, De Donato, Bari 1975, pp. 339-345.

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