I beni vennero confiscati e non furono mai restituiti
Ho fatto parte della “Commissione Anselmi”, la Commissione governativa che per due anni e mezzo ha setacciato gli archivi pubblici e privati italiani per indagare i meccanismi di spoliazione attuati contro gli ebrei italiani dal 1938 al 1945. Nell’aprile 2002 abbiamo consegnato alla Presidenza del Consiglio e al Paese un Rapporto Generale di 540 pagine fitte, ricco di ricostruzioni storiche e di indicazioni su ciò che nel dopoguerra era stato restituito, su ciò che era stato disperso definitivamente, su ciò che era o poteva essere rimasto in possesso di enti pubblici o privati.
Nei successivi diciotto mesi si è verificato un solo episodio di restituzione, per meritoria decisione autonoma della Provincia di Trento. Nient’altro. Nel frattempo i depredati si sono anagraficamente ridotti di numero, le ricchezze del Paese sono cresciute e diminuite, le manifestazioni di antisemitismo sono calate o aumentate, viaggi (in Israele) sino a ieri non offerti e non graditi sono diventati possibili. Ma la maggior parte delle Raccomandazioni conclusive del Rapporto Generale è rimasta inevasa. Una di esse auspicava che “il Governo, anche alla luce delle risultanze emerse dal lavoro della Commissione, e secondo modalità che riterrà più opportune, renda sollecitamente possibili i risarcimenti individuali alle vittime di sequestri, confische e furti avvenuti negli anni 1938–1945”. Cara Tina Anselmi, non più ragazzina: quanta sprovvedutezza in quel nostro “sollecitamente”.
A fronte di questa situazione, gli unici elementi di novità sono stati, il mese scorso, la pubblicità al libro di Norman Finkelstein sull’esosità (per non dir di peggio) ebraica “olocaustica” e, ora, i giudizi liquidatori della Commissione Anselmi scritti da Sergio Romano sul “Corriere della Sera” di giovedì 7 novembre.
In questi diciotto mesi (ci si potrebbero fabbricare due bambini, lavoro non da poco) tutti hanno avuto cose importanti da fare, più importanti anche della restituzione degli orologi confiscati dalle autorità italiane repubblichine a ebrei arrestati sul confine svizzero (gli ebrei furono deportati; gli orologi nel dopoguerra vennero venduti dal nostro Stato democratico a beneficio dell’Erario), o della bandiera d’Italia confiscata nell’abitazione di un rabbino (a quella data già ucciso ad Auschwitz).
Se l’Italia non deve restituire, non restituisca. Ma, per cortesia, lo si faccia in silenzio. Ci si risparmi l’ironia sui soldi degli ebrei, sulla potenza degli ebrei, sulla protervia degli ebrei, sull’insopportabilità degli ebrei.